L'élite,
concetto disgustoso.
Chiunque
creda di appartenere a un gruppuscolo di iniziati, di alteri
masticatori del prezioso, è senza sconti ed eccezioni un mio nemico.
Chiunque rifiuti il meticciato e le contaminazioni che ogni tipo e
forma di cultura contiene in sé volente o nolente, è persona non
grata alle porte del mio appartamento sottomarino.
Determino
questa veloce definizione mentre Alberta mi racconta perché, a suo
dire, non ha funzionato la sua ultima relazione. Con uno che non
leggeva, che non conosceva i classici, che non frequentava
“moralmente” il cinema d'essai e la musica colta.
Quello
che più mi disturba è che Alberta, come tanti che ho avuto modo di
conoscere, crede di poter ottenere senza dubbio alcuno la mia
altezzosa complicità. Sì, perché Alberta sembra concedermi -sia
pure con la consueta riluttanza di casta e con le dovute,
spasmodiche, riserve mentali- l'aura di persona di buone letture, con
gusti particolari e non allineati, uno in buona sostanza indifferente
a ciò che il popolo ama e persegue. Uno che, come lei e i suoi
amici, tiene a debita distanza chi non si dimostra stimolante
culturalmente, al passo con i gusti ricercati che ogni anima nobile
sembra essere obbligata ad esibire per entrare in qualche cerchia.
Poi,
pazienza se sono povero. O palesemente fuori dalla società.
L'importante è che io sciorini un buon italiano, che abbia scritto
qualcosa a prescindere dall'esito commerciale, fondamentale è che io
sappia almeno chi sono stati Picasso, La Rochefoucauld, Eluard,
Fante, Fassbinder e magari Mary Quant.
E
così l'elegante amica si scatena contro il povero ex compagno di
sospiri e speranze, bollandolo come “un rozzo ignorante”, che
lei, sana portatrice di orizzonti sconfinati, ha vanamente cercato di
portare al suo livello, o almeno nei pressi.
Beh,
dovresti andare a farti fottere, penso, mentre giochicchio
nervosamente con una bustina di zucchero. Sciocca oligarca,
presuntuosa borghese, viziata intellettuale tutta spasmi e commozioni
empatiche con pagine di libri.
Più
ascolto le sue confidenze, più mi rendo conto che vive tra steccati,
dighe, frontiere, a picco -in compagnia di pochi stronzi- sul mare
del sapere in una camera arredata di costose cianfrusaglie.
Esce
fuori dall'ambito sentimentale e inizia a parlarmi di tutta una serie
di intellettuali che conosce e frequenta pure. Quando le descrizioni
sono efficaci e icastiche, mi è chiaro che non ho nessuna voglia di
conoscerli e men che meno di frequentarli. Mi accetterebbero,
malvolentieri, ma potrei farcela. Non ne ho nessuna voglia, però.
Passa
velocemente a considerazioni di natura artistica. Tutte apodittiche e
senza possibilità di replica.
“Chiunque
non ascolti e non conosca Keith Jarrett non può dirsi un
appassionato di jazz”, sentenzia, “Keith è un visionario, un Re”
Bum.
Keith,
poi. Come se si dividessero lo yogurt la mattina. Keith.
E
se io casomai preferissi gli Azymuth o Don Pullen, cos'è, non potrei
più stare al suo cospetto?
E
se io pensassi che Bunny Brunel è più visionario di Jarrett che fa,
mi castra intellettualmente, mi lapida in pubblico?
In
materia di letteratura, non parliamone nemmeno. Per lei e i suoi
simili chiunque non abbia masticato tutti i classici e sia
riconosciuto come persona “adibita a discuterne” va dritto
nell'Ade dell'indifferenza.
Un
atteggiamento fascistoide, supponente e misero che non posso
tollerare. La differenza, rispetto a qualche anno fa, è che non
entro in battaglia con esemplari del genere; mi limito ad ascoltarli
e poi a evitarli. Non mi è mai piaciuto il “sesso orale
intellettuale” tra menti fertili, l'inveterato scambio di
complimenti tra profondi conoscitori delle più variegate materie.
Quando
un intellettuale -o presunto tale- si perde in queste sconsolanti
forme di auto-ammirazione e di ricerca dei fratelli di stampo e
conio, non è poi molto diverso dal volgare arricchito che esibisce i
suoi beni e i suoi privilegi. Ed ecco che la figura
dell'intellettuale va a contaminarsi -ed è l'unica forma di
contaminazione negativa, a mio giudizio- con quella, comica e
abbozzata, dell'uomo che ce l'ha fatta e te lo sbatte in faccia.
Anche
se è una donna, lascio che sia Alberta a pagare il caffè. Non posso
pagare io, visto che lei è scesa dall'Olimpo per incontrarmi e
donarmi le sue perle di autoinclusione aurea, i suoi comandamenti
senza contraddittorio.
Quando
ci scambiamo il fatidico bacio sulla guancia, mi rendo conto di non
aver detto nulla di personale, di non averle raccontato nulla della
mia vita.
Sarebbe
stato tempo perso.
Sarei
stato un interlocutore all'altezza se le avessi dimostrato, con
disinvoltura, che nel suo mondo sono presente anch'io, con tanto di
pedigree. Ma è da tanto che ho smesso di darmi da fare per
facilitare le codifiche altrui.
Sono
consapevole di essere, per questo e per altro, una delusione per
molti. Non intendo sforzarmi, non voglio darla a bere. In primis a me
stesso.
Maturità?
Parola insolente e senza senso. Parola diurna, sociale, sporca di
manie, prevalentemente altrui.
No.
Altri
amori, semplicemente. Altre necessità. Il mio respiro che mi supera
e mi rimpicciolisce, anche. Il tempo che mi lavora ai fianchi, le
fontane che si svuotano, gli accessi negati, i viaggi in sogni chiusi
al pubblico, le utopie incerottate che si scambiano carezze nella
noia della pazienza. Sarà questo.
Il
tempo per farsi scegliere al mercato degli incontri è finito e non
era tempo speso bene.
Qui
non decidiamo nulla e poco incidiamo; altro che i grandi classici che
ti qualificano e le propensioni artistiche da installarsi in faccia
per smaltare il sorriso più adeguato.
I
giochi della mia vita ora sono gestiti dalle ombre, dalle
coincidenze, dalle maree, dalle fasi lunari, dai rubinetti che
perdono nelle notti insonni, dal crepitio della lampada da scrivania
quando tento di scrivere. Vince il vento, vince il riflesso vuoto
nella lastra di vetro della divisione, vince la diserzione a pochi
passi dall'ingresso, per perdersi in un odore che promette poco ed è
anche troppo veloce, quello dell'altrove. Un odore che mi possiede
quasi interamente, rendendomi definitivamente ridicolo quando mi
attribuisco un decisionismo strutturato che non mi appartiene.
A
pochi passi dall'ingresso mi piace pensare al mio biglietto per
terra, calpestato da qualcuno che va di fretta. Di certo più di me.
©Luca
De Pasquale 2017
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